New review | BONE MAN "II"


Voto
01. Dead Weight
02. Closer to the Sun
03. All Eyes on Me
04. Stuck in the Mire
05. A New Breed
06. Out of Phase
07. Wood Song
08. Hollow Promise

Ozium Records
2013
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BONE MAN - "II"

DIY. Do It Yourself. Fallo da solo. A pensarci bene ogni opera d'arte è fatta dal genio di un individuo solo. Ma nella musica le cose sono leggermente diverse. Se sei in una band "necessariamente" non puoi fare tutto da solo. Però il termine DIY in musica assume un significato speciale. Significa: organizzati con gli amici, trovatevi in sala prove, fate le vostre cose. E se nessuno vi aiuterà, non preoccupatevi: organizzatevi da voi la stampa di album e promuovete la vostra musica in giro per l'Europa semplicemente con l'aiuto di conoscenti mossi dalla stessa passione. E così hanno fatto i Bone Man. Hanno confezionato "II" finanziandosi di tasca propria e poi giù, in giro per il continente, a promuovere la loro idea di come debba suonare una rock band. Conosciuti a Il Locale nel bel mezzo del loro tour italiano, Marian, Otzi e Arne hanno fatto uscire il loro "II" per la Ozzy Records, in tiratura limitata a 500 copie.
Nell'insieme l'album suona vario e compatto in ogni sua sfumatura, captando varie influenze nel corso dei due decenni che vanno dall'esplosione del grunge alla fine di questa prima decade del terzo millennio. C'è una vaga ombra dei System of a Down in più di un episodio ("Dead Weight" e "All Eyes on Me") soprattutto nella coralità delle lyrics e in quel mix di accoramento e passione dei ritornelli ululati sul finire del mondo. Alcune volte gli arrangiamenti si fanno sinuosi e speciali con l'aggiunta del synth che dona alle composizioni un respiro maggiore. Altre volte si spinge sull'acceleratore ("Stuck in the Mire" e "A New Breed") riportando tutto a casa Natas, Motorhead, Orange Goblin e in "Closer to the Sun" c'è la stessa grandeur ascoltata in capolavori come "Blues for the Red Sun", puro Kyuss style nella maniera più rustica immaginabile. Verso la metà del secondo lato i nostri puntano verso l'immaginazione e anche se c'è qualcosa di già sentito, il meglio è racchiuso proprio nel finale. Non c'è l'urgenza di dire tutto e subito e i tempi si fanno sospesi, come nell'arpeggio di "Hollow Promise" che lascia la curiosità di ascoltare i Bone Man nelle prossime future evoluzioni, come dei nuovi Pelican, quando "Australasia" era una sincera novità. Ben fatto. La terza generazione di stoner addicts promette bene. E, soprattutto, mantiene.



Eugenio Di Giacomantonio

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